Vilma Forneris è stata ospite del 279° Capitolo della Tradizione del 20 maggio 2018, durante il quale il giornalista de La Stampa, Roberto Fiori, ha intervistato quattro cuochi di storiche trattorie ed osterie di Langa. Al termine della parte culturale la Signora Vilma ha ricevuto il titolo di Cavaliere Onorario dell’Ordine.

Come tutte le cose belle, la Vecchia Osteria va cercata, desiderata, meritata.

Castellino Tanaro, infatti, si trova su un percorso secondario di raccordo fra la Langa di Murazzano e la Valle del Tanaro: difficile incontrarlo, deve essere una meta. Un piccolo paese che, nella sua ordinata essenzialità, riassume i caratteri culturali e paesaggistici delle Alte Langhe cebane.

La storia della Vecchia Osteria è la storia delle Alte Langhe dal Dopoguerra a oggi e, nel raccontarla, a Vilma si illuminano e inumidiscono gli occhi di orgoglio e di malinconia.

Nasce come Circolo ENAL nel 1965, allorché i suoi genitori, Sebastiano Forneris (1925) e Ettorina Zatta (1927), tornano a Castellino dopo una breve fuga a Torino mossa dal mito del posto fisso alla FIAT.
A gestirlo è Ettorina, coadiuvata dal marito nel tempo lasciato libero dai pochi campi e dalla piccola stalla.
“Il lavoro è tutto è viene prima di tutto.”

Anche Vilma (1963) e Mauro (1961), al rientro da scuola, prima ancora di mangiare, aiutano a servire ai tavoli. Ettorina è un’ottima cuoca, ma a fare la differenza sono i “segreti” imparati dalla mamma Maria (ma per tutti era semplicemente Nonéta).

Pochi piatti della tradizione casalinga di Langa, ma fatti alla perfezione.

I fondamentali sono: tajarìn, ravioli, coniglio al civet, bonét. Tume e acciughe al verde non possono mai mancare.
In cucina comandano le stagioni: frittate e insalate d’erbette in primavera; minestroni, meravigliosi sughi di pomodoro, carpioni d’estate; tanti gnocchi quando si tolgono le patate; polenta e rustiche bagne caode in inverno; il maiale dalle orecchie alla coda ai piutìn a gennaio.

Anche Vilma (1963) e Mauro (1961), al rientro da scuola, prima ancora di mangiare, aiutano a servire ai tavoli. Ettorina è un’ottima cuoca, ma a fare la differenza sono i “segreti” imparati dalla mamma Maria (ma per tutti era semplicemente Nonéta).

Per la festa patronale della Madonna della Neve il paese si riempie e il menù si fa ricco: “c’erano l’insalata russa e il vitello tonnato, i ravioli, il gallo o la gallina bolliti, l’arrosto e naturalmente il bonét; mia mamma preparava anche una sorta di zuppa inglese”.

Sono anni di intenso lavoro e di progressi, culminati nel 1977 con l’acquisto e l’ammodernamento dei locali.

Il 13 febbraio 1988, dopo alcuni rinnovamenti alla sala e alla cucina, avviene il cambio generazionale e nasce la Vecchia Osteria.

Forte del sostegno dei genitori e del bagaglio di saperi e di valori acquisiti in famiglia, la giovane Vilma va incontro ai profondi cambiamenti economici e culturali che le Alte Langhe vanno conoscendo con l’arrivo dei turisti svizzeri, tedeschi e, più recentemente, olandesi.

La cucina è quella tradizionale di Langa, ma le ricette sono quelle di casa, di mamma Ettorina e di Noneta:

La mia formazione è unicamente dovuta all’insegnamento di mamma, lei mi ha insegnato tutti i passaggi dei piatti, quei piccoli accorgimenti che fanno la differenza per la bontà e la riuscita del piatto…

La pasta per tajarìn e ravioli vuole tredici tuorli e due uova intere per ogni chilo di farina, un cucchiaio di olio di oliva e un bicchiere d’acqua; il coniglio e il bonét sono segreti di famiglia; i modi di cottura “un patrimonio da salvaguardare”.
Stupendi sono i primaverili ravioli alle erbette (generalmente di tredici varietà).
Sorprendenti le frittelle di formaggio (pasta di pane ripiena di formaggio e successivamente fritta in olio), paragonabili solo a quelle dell’immenso Cesare (“per me è sempre stato un idolo”).

Immancabili sono le “Lele” che Vilma propone calde col burro, con i salumi casalinghi o con le stupende acciughe, selezionate dal marito Ezio in virtù di competenze che gli derivano dal sangue di quattro generazioni di anciué della Valle Maira.
Una classica osteria di Langa che trova esaltata la sua personalità in autunno, con i funghi, il Tartufo Bianco d’Alba e il caminetto acceso.

Nella “Vecchia Osteria” e nella cucina di Vilma c’è dunque un ingrediente principale: il cuore.

Lo si coglie nella semplice garbatezza dei modi, nello sguardo, nelle parole. Lo si coglie fin dall’esterno: ci vuole cuore per avere resistito lassù. Lo si coglie nel benvenuto: sui tavoli non manca mai un fiore di campo o un richiamo alla stagione.

Lo si coglie nel saluto: “Negli ultimi anni la Vecchia Osteria con le sue Lele e Castellino Tanaro si sono fatti conoscere oltre le mie aspettative. Mi fa piacere pensare a papà e mamma con le lacrime agli occhi di felicità che mi guardano e continuano a proteggermi da lassù.”

Il piatto della tradizione

La Lela di Castellino Tanaro”

L’epiteto che nella cultura popolare di Langa accompagna gli abitanti di Castellino Tanaro è “Lelon” o “Mangia lele”. Un soprannome che sarcasticamente richiama la povertà dei luoghi. La Lela, infatti, è un relitto culturale dei tempi della malora.

Un sapore primordiale che sa di fuoco, di pane e di miseria. Si tratta di un pane povero a base di farina di grano, acqua e sale; non lievitato; oblungo dalla forma che richiama il lobo dell’orecchio (il che rimanderebbe l’origine del nome al latino legula).

Di facile preparazione, veniva cotto sulla piastra del potagé o direttamente nel focolare dentro uno spesso strato di cenere. Serviva a supplire alla mancanza di pane nei periodi di carestia o tra un’infornata e l’altra, nei tempi in cui il pane veniva cotto solo il sabato nel forno comune.

Il comune di Castellino Tanaro dal 1998 le dedica una sagra (metà giugno) e dal 2013 la valorizza attraverso la DE.CO. La “Vecchia Osteria” la propone calda col burro, con i salumi casalinghi o con le acciughe.

piatti-tradizionali-langhe-vecchia-osteria

L’abbinamento

Un piatto semplice come la Lela accompagnata da gustosi salumi e i formaggi, ben si sposa con l’altrettanta semplicità di un buon Dolcetto, un vino da tavola, beverino, ma corposo al punto giusto.