Una delle immagini più belle della cucina autunnale e invernale di Langa e Roero è quella delle pere con vino Nebbiolo, cannella e un velo di zucchero, cotte nel forno o sulla piastra di qualche ultimo romantico “potagé”. Fotogeniche ed eleganti, antiche e modernissime, portano in tavola naturalezza di profumi, sapori e colori, insieme all’interessante racconto che lega le pere Martìn sec alle Madernassa.

Gli inizi della storia hanno contorni mitici: citata in Francia dal Cinquecento e indicata originaria della regione Champagne, la Martìn sec viene dal conte Giorgio Gallesio (Pomona Italiana, 1839) legata ai versanti alpini piemontesi e indicata largamente diffusa con vari sinonimi. Il nome deriverebbe dal tardivo periodo di raccolta, tra fine ottobre e San Martino (11 novembre), il capodanno del calendario agrario contadino. Piccola, dalla buccia rugginosa-bronzea e dalla polpa dolce, l’antica cultivar risulta molto apprezzata per le doti di rusticità e di serbevolezza (maturazione da fine dicembre a marzo), nonché per l’impareggiabile utilizzo in cucina cotta o per conserve e sciroppi.

Se i “peri rusonenti” documentati nel 1701 a Vezza consentono solo ipotesi di sinonimia, esplicite sono le lettere del fattore di Cavour da Grinzane, registranti in data 14 novembre 1847 l’omaggio di una “cavagna peri martine ed uva, con una beccaccia”. In altra lettera del 1 ottobre 1848 vengono citati i “peri vergoles e peri martin”, attestando le attenzioni colturali che pongono il castello di Grinzane al centro del progresso agrario. Una bella fotografia del paesaggio viticolo ottocentesco, con i peri come prezioso decoro dei vigneti.

Dopo larghe fortune, a metà Novecento la Martin sec viene detta abbandonata dai frutticoltori a causa della sensibilità alla ticchiolatura. A proteggerne la sopravvivenza è proprio la cucina casalinga, esempio emblematico del ruolo che la civiltà della tavola gioca nella difesa della biodiversità.

A sostituirla nei favori dei contadini è la pera Madernassa, varietà autoctona che prende il nome dall’omonima frazione di Vezza d’Alba. Della pianta-madre, abbattuta nel 1914 alla veneranda età di 130 anni, esiste una foto: documento storico di straordinario fascino e assai raro nella storia dell’agricoltura. Si trattava di un vero gigante, con un tronco della circonferenza di m 2,60 “sormontato da chioma ampia e disadorna, perché due delle branche principali erano state stroncate dal fulmine.”

La prima descrizione scientifica della Madernassa va ascritta al Cavazza (1908), il quale ne loda la rusticità, la produttività e la longevità. Caratteri esaltati dalla cultura contadina con l’affermazione “di non aver mai visto una pianta di Madernassa morire di vecchiaia o non produrre più”. L’autorevole studioso, sulla base delle caratteristiche dell’albero e del frutto, ritiene che tale cultivar derivi da un incrocio naturale della Martin sec con il selvatico. “Difatti, -scrive- poche sono le differenze… la Madernassa ha soltanto una maggiore brevità degli stili; le lenticelle alquanto più oblunghe e il frutto più bello, di color verde-giallastro, talvolta sfumato di rosso, più gustoso di polpa, se mangiato fresco, e più voluminoso.” E’ però soltanto nei primi decenni del Novecento che tale cultivar s’impone all’attenzione generale, complice -come detto- la sensibilità della gloriosa Martin sec alle malattie crittogamiche.

La cultura della tavola di Langa e Roero ha fatto della Martin sec e della Madernassa dei cardini della cucina autunnale e invernale (ma i moderni sistemi di conservazione le rendono disponibili tutto l’anno), valorizzandone sia i contenuti tradizionali sia la modernità del gusto leggermente tannico. Presenti tanto in osteria quanto nella cucina stellata che nelle versioni casalinghe della mostarda o “cognà”, hanno il grande pregio della capacità di racconto, incrociando percorsi tra Champagne e Piemonte, tra Langa e Roero. Con interessanti abbinamenti di vini.

del Maestro Luciano Bertello