Gli islandesi produrranno vini rosé? E in Borgogna i vignaioli dovranno abbandonare il Pinot Nero per passare al Syrah? Possono sembrare domande bizzarre, ma non lo sono affatto. Perché l’atlante del vino è un libro in continua evoluzione. E se oggi le regioni viticole più rinomate si trovano in fasce geografiche piuttosto ristrette, il cambiamento climatico, che sta determinando un riscaldamento globale sempre più complesso da gestire per chi lavora a diretto contatto con la terra, scompiglia le carte e apre nuovi orizzonti.
Non occorre neppure andare tanto lontano per osservare gli effetti del “climate change” sulla vitivinicoltura. Nel Sud Piemonte, la corsa in salita alla ricerca di terre buone e temperature fresche è già iniziata da tempo. Lo dimostra il successo dell’Alta Langa, lo spumante Metodo Classico prodotto con le uve Pinot Nero e Chardonnay di vigneti coltivati sopra i 250 metri di altezza, ma che ormai si spingono sempre più in alto fino a sfiorare i mille metri, dove fino a pochi anni fa c’erano solo boschi e noccioleti. E se un tempo i vecchi di Langa dicevano di guardare dove la neve si scioglieva prima, per capire quali erano i vigneti più vocati, è molto probabile che nel futuro i criteri per valutare saranno diversi, con la ricerca di posizioni meno esposte al sole.
Di questo e di molto altro si parlerà al Castello di Grinzane Cavour sabato 17 settembre, quando per il Capitolo della Selezione dei Grandi Vini dell’Albese i Cavalieri avranno come ospite il professor Attilio Scienza, ordinario di Viticoltura all’Università di Milano, presidente del Comitato Nazionale Vini, Direttore scientifico di Vinitaly International Academy, Cavaliere Onorario del nostro Ordine e uno dei più autorevoli studiosi in materia a livello internazionale.
Professore, i dati segnalano ormai indiscutibilmente che il clima sta cambiando. Deve cambiare anche il modo di coltivare la vite?
“Il cambiamento è già avvenuto e continuerà ad avvenire. Ma non sottovalutiamo che il viticoltore viene da una tradizione di adattamento al clima veramente secolare. Tutta la nostra agricoltura è il risultato di una battaglia contro il clima e l’uomo si è sempre adattato, modificando le varietà, le pratiche e i gusti. Oggi siamo di fronte all’ennesima battaglia, ma possiamo contare su strumenti più sofisticati che vanno ben oltre la semplice delocalizzazione”.
Quali?
“I nostri viticoltori sanno molto bene che devono piantare le viti più larghe, che devono usare portainnesti più tolleranti alla siccità, sanno che devono fare in modo che le chiome proteggano di più i grappoli per evitare l’eccesso di irradiazione, sanno come concimare e così via. Inoltre, grazie ai modelli predittivi sempre più precisi, siamo in grado di prevedere il clima e non di subirlo, attuando contromisure molto mirate”.
Sono stati fatti passi importanti anche nello studio della genetica.
“Certo, ma occorre molto più impegno: oggi abbiamo non solo la possibilità di sperimentare nuovi portainnesti, ma anche quella di provare vitigni resistenti ottenuti da incroci o grazie alla TEA, la Tecnologia di Evoluzione Assistita. Un ruolo importante in futuro l’avranno certamente le varietà, cioè i vitigni che noi coltiviamo in molte zone e che dovranno un po’ alla volta cambiare, magari tornando al passato. Io credo che dovremo ripensare il concetto stesso di vocazione dei suoli e degli ambienti. Se guardiamo come è evoluta la vocazione viticola europea dal Dopoguerra, ci accorgiamo che abbiamo abbandonato molti luoghi e varietà che erano adatte a fare della viticoltura resiliente, un po’ per arroganza, un po’ per presunzione e un po’ per seguire le tendenze. Tutte queste scelte fatte negli ultimi 70 anni vanno riviste, perché i modelli viticoli del futuro non possono essere gli stessi di più di mezzo secolo fa”.
L’irrigazione di soccorso potrebbe essere una soluzione per i vigneti?
“Dal punto di vista agronomico c’è chi lo crede, ma occorre considerare che l’acqua non è più disponibile come in passato, e che soprattutto la viticoltura di collina, che è quella che ha più bisogno di acqua, è la più difficile da irrigare, sia per la difficoltà di portare acqua in collina, che richiede tanta energia, sia perché la convenienza economica è molto ridotta. Per questo bisogna pensare a delle alternative senza più perdere tempo prezioso. Occorre un cambiamento culturale, poi la tecnica e la genetica faranno il resto”.
di Roberto Fiori
*Attilio Scienza è nato a Serra Riccò (Genova) nel marzo 1945. Laureato in Scienze Agrarie cum laude presso la Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza nell’a.a. 1968-1969.
Dal 2009 al 2014 è stato Presidente del corso di laurea in Viticoltura ed Enologia presso l’Università di Milano, titolare del corso di Miglioramento genetico della vite e di Viticoltura di territorio fino al 2015,anno del pensionamento. Dal 1984 al 2002 è stato direttore generale dell’Istituto Agrario di S.Michele a/A..
È Accademico ordinario dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino e Socio Corrispondente dell’Accademia dei Georgofili.
Gli è stato assegnato il Premio AEI per la ricerca scientifica nel 1991, il Premio Internazionale Morsiani nel 2006, il premio OIV-Parigi nella disciplina Viticoltura per il miglior libro scientifico su tematiche viticole e della cultura della vite nel 2003 ,2008,2011 e 2012 e 2017.E’presidente della Fondazione Sanguis Jovis della Fondazione Banfi ed è responsabile scientifico della Vinitaly International Academy.
È autore di 380 pubblicazioni scientifiche su riviste e atti di convegni internazionali e nazionali e su manuali e monografie scientifiche nazionali ed internazionali prevalentemente dedicati alla vite e alla viticoltura.
È autore di 32 testi a stampa che trattano argomenti tecnici e culturali.