Antonio Degiacomi, presidente del Centro Nazionale Studi Tartufo, ci svela i segreti dell’altro tartufo.

La natura è generosa e ci offre più di cento tipi di tartufo. Ma solo nove varietà sono considerate commestibili e solo sei riscuotono più successo e quindi vengono commercializzate con maggiore frequenza. Stiamo parlando del tartufo bianco pregiato (il celebre e ricercatissimo Tuber Magnatum Pico di cui Alba è l’indiscussa capitale), di quello nero pregiato, dell’uncinato, del marzuolo, del brumale e del tartufo estivo, o scorzone. Tutti questi tartufi hanno sfumature di colori, sapori e profumi unici che li rendono speciali e contribuiscono a distinguerli l’uno dall’altro. Ma soprattutto, hanno differenti stagioni di raccolta.

Ed è proprio a partire da queste caratteristiche che sulle colline di Langhe, Monferrato e Roero si è iniziato a discutere sull’opportunità di valorizzare non solo il prelibato tartufo banco, ma anche gli altri gioielli che si nascondono nel sottosuolo del Sud Piemonte. A partire dal tartufo nero pregiato: quasi ignorato dalla nostra tradizione culinaria, in Francia è uno dei prodotti più ricercati.

È arrivata l’ora di invertire la tendenza? Lo chiediamo ad Antonio Degiacomi, presidente del Centro Nazionale Studi Tartufo che ha sede ad Alba.

“Rilanciare la promozione e il consumo di altre varietà di tartufo, oltre a quello bianco pregiato, è senza dubbio una sfida importante per offrire nuovi spunti gastronomici e turistici alle colline piemontesi. Ma occorre prima di tutto fare chiarezza, per evitare di mandare in confusione i consumatori”.

Ci può aiutare lei?

“Iniziamo dal tartufo nero pregiato, ovvero il Tuber Melanosporum Vitt: è un prodotto molto diffuso in tutto il mondo e altrettanto apprezzato nella ristorazione internazionale. La stagione di raccolta va dalla metà di novembre alla metà di marzo, ma ormai viene raccolto anche nell’emisfero meridionale, in particolare in Australia, ed è quindi disponibile quasi tutto l’anno, grazie anche a una più luna possibilità di conservazione. Viene utilizzato in cucina per la preparazione di salse e in varie lavorazioni, ma quasi mai usato fresco. Nella nostra zona, è diffuso soprattutto in Alta Langa, nel Cuneese e nel Cebano: territori che potrebbero valorizzarlo molto di più di quanto si faccia oggi, sfruttando anche una certa propensione al turismo invernale. Per quanto riguarda l’Albese e l’Astigiano, invece, credo che lo spazio sia un po’ ristretto, sia perché in parte la stagione di raccolta coincide con quella del tartufo bianco, sia perché nei mesi invernali le colline di Langhe, Monferrato e Roero tirano un po’ il fiato”.

Il tartufo nero estivo, invece?

“Il periodo di raccolta del tartufo estivo o scorzone, il cui nome scientifico è Tuber Aestivum Vitt, non si sovrappone a quello delle altre varietà: questo tipo di tartufo cresce infatti solo nella stagione calda, da metà maggio a fine agosto. È la varietà più diffusa in tutto il mondo, ma ha sempre avuto scarsa considerazione in cucina, anche perché ha un sapore più simile ai funghi epigei e non è dotato di un profumo particolarmente intenso. Tuttavia, negli ultimi anni l’attenzione per questo prodotto dalle nostre parti è molto cresciuta, di pari passo con l’aumento del turismo estivo. Oggi il tartufo nero estivo è considerato un’opportunità per soddisfare quei consumatori che, attratti dalla fama del Tuber Magnatum Pico, chiedono di consumare il tartufo anche fuori stagione. In questo senso, può essere un’alternativa valida e alla portata di tutti, ma va presentata con chiarezza e attenzione, per non generare equivoci. Lo stesso vale per il tartufo uncinato, o scorzone invernale, che si raccoglie da inizio ottobre a fine dicembre”.

Insomma, tartufo tutto l’anno?

“E’ uno slogan che in altre regioni d’Italia, a partire dalla Toscana e dalle Marche, già usano con un certo successo. Non so se sia una formula adatta anche al Sud Piemonte, dove il tartufo bianco è il re incontrastato e inimitabile della cucina autunnale. Tuttavia, è corretto valorizzare tutto ciò che abbiamo e spiegarlo bene ai consumatori. In fin dei conti, c’è chi può permettersi il consumo di tartufo fresco lamellato al ristorante e c’è chi invece cerca salse e vasetti, che hanno un ampio mercato. Si tratta di logiche diverse, tutte degne di attenzione. Anche perché la fama di questi territori è sempre più vasta e occorre saper soddisfare tutti i palati”.

di Roberto Fiori