Giampiero Cordero, 35 anni, miglior sommelier d’Italia per la Guida de L’Espresso 2021 e già tanta esperienza alle spalle, è il responsabile di sala del ristorante stellato di famiglia, Il Centro di Priocca, nel Roero dell’Arneis e del Nebbiolo. La sua è un’idea ben precisa di cucina, sala e territorio: «Abbiamo la fortuna di vivere in un fazzoletto di terra baciato da Bacco ed è inutile fare distinzioni, o peggio ancora competizioni, tra Langhe e Roero. Semplicemente, dobbiamo raccontare le tante sfaccettature di queste colline, le sue diversità e ricchezze».
Ma come si costruisce una valida carta dei vini?
«Prima di tutto, una premessa: la carta dei vini è uno strumento che può consentire al ristorante di andare molto bene, o di appesantirlo e metterlo in difficoltà. L’investimento necessario è significativo, per questo occorre fare attenzione ed evitare che diventi una vetrina di autocompiacimento del sommelier. La prima cosa da fare è stabilire un budget annuo e non discostarsi dalla cifra. Poi deve essere fatta una attenta geolocalizzazione del locale: se apro un ristorante a Milano è diverso da Montalcino, dove la priorità dovrà essere data ai vini del territorio per almeno il 70 o l’80%. C’è poi la regola del 33%».
In cosa consiste?
«Il 33% di ogni carta deve essere composta dai vini che è necessario avere sempre disponibili. C’è una parte di clientela che ama rimanere nella propria comfort zone e cerca etichette già conosciute e consolidate. Vini iconici e quasi abitudinari che non possono mancare, siano essi spumanti, bianchi o grandi rossi. Un altro 33% deve proporre un focus sul territorio in cui si opera, dando priorità ai produttori con cui si instaura una buona collaborazione per stima reciproca e visione comune. Solo l’ultimo 33% può essere concesso all’estro del sommelier, alla sua creatività e voglia di caratterizzare la lista. I vini devono ruotare, altrimenti diventano un’ancora che appesantisce».
Quali sono le tendenze attuali?
«Ci sono ristoranti che puntano su un’ampia orizzontalità, altri che invece sono più verticali e si focalizzano sulle vecchie annate. In una zona come le Langhe e il Roero è importante dare l’opportunità di bere un pezzo di storia e occorre saperlo fare. Il lavoro del sommelier in sala è delicato, deve essere presente con discrezione, concedendo al cliente l’opportunità di divertirsi. Io credo che l’atteggiamento giusto sia l’umiltà, necessaria per non mettere mai in difficoltà chi sceglie. Quando si crea un rapporto di fiducia, allora si può osare di più. Da noi a Priocca, il 70% dei clienti mi dice: “Fammi bere una bella bottiglia” e io scelgo in base a gusti ed esperienze precedenti. I turisti e la clientela internazionale sono molto interessati alla produzione locale, mentre chi vive qui desidera andare alla scoperta di altre zone vitivinicole italiane e straniere».
Da qualche mese, ha trasformato una sua passione in un secondo mestiere. Ci racconta di cosa si tratta?
«Ho creato una piccola società, la Cordero distribuzione, con la quale importo e distribuisco in Italia vini francesi, con una specializzazione sulla Borgogna. Era da tempo che avevo in mente questo progetto, mettendo a frutto le relazioni e le amicizie che ho alimentato in questi anni. Si tratta di un’avventura che ha l’obiettivo di far contenti sia i piccoli produttori, sia i ristoranti che amano selezionare con cura le loro bottiglie».
Un consiglio a chi vuole muovere i primi passi nel mondo del collezionismo, o anche solo dotarsi di una buona cantina personale?
«A chi vuole provare a riempire qualche scaffale, il mio consiglio è di non iniziare a comprare vini, ma usare il budget a disposizione per visitare cantine e degustare. Solo dopo aver capito cosa ama il proprio palato, si può iniziare a comprare le prime bottiglie, avendo cura di portare a casa solo vini che ci piacciono veramente. Altrimenti, il rischio è di lascarli lì a invecchiare fin troppo a lungo. La cosa migliore è conoscere personalmente i produttori, perché al di là di profumi e sentori, ogni volta che si degusta un vino si beve un territorio e ci si accosta a una storia fatta di persone».
Intervista di Roberto Fiori